Eventi A.S. 2010/2011

Lettera del Presidente della Comunità ebraica di Mantova Fabio Norsa

Dalla sua istituzione, il mio contributo per questo Giorno è dedicato alla memoria del mio nonno materno, Guglielmo Namias, dei nonni paterni di mia moglie, Ariodante Vitali ed Elvira Rimini, del suo giovane cugino Alessandro Vitali, scomparsi nei crematori di Auschwitz, ai 99 Ebrei mantovani deportati non sopravvissuti allo sterminio ed a mia madre, Bruna Namias, miracolosamente sopravvissuta al carcere duro di Padova, alla Risiera di S. Sabba di Trieste ed al lager di Auschwitz - Birkenau in Polonia. 

Il pensiero ebraico contemporaneo respinge fermamente ogni tentativo di affrancarci come ‘gli Ebrei della Shoàh’ – che implicitamente ci assegna l’indesiderato ruolo di vittime perenni – e vi contrappone la Storia millenaria di un popolo costellata sì di persecuzioni, ma intrisa di cultura anche laica e di tradizioni mai tralasciate o sopite, della quale il periodo dello sterminio costituisce l’evento tragico più recente dei suoi 5771 anni.

Certo la Shoàh, per noi ebrei, come il Porrajmos, per le popolazioni sinta e rom, è un nervo scoperto per le intime tragedie e lutti familiari, ma presumo di interpretare il pensiero del popolo cui appartengo affermando quanto sia necessario attualizzare la Memoria, che non può essere intesa nel riduttivo significato del mero ricordo fine a se stesso.

Dopo l’istituzionalizzazione legislativa del 27 gennaio come Giorno della Memoria, si è subito ravvisato il rischio che la ricorrenza si trasformasse in formalità celebrativa obbligatoria nelle scuole, falsandone così il concetto ispiratore, proprio perché ‘ritualmente’ riproposta a generazioni distanti da quelle che l’hanno istituita, e per le quali il senso era pregnante.

La celebrazione del passato così diffusamente affidata ai monumenti ai lager, ai caduti, ai musei, alla proiezione del film, all’incontro con il diretto Testimone, sino alla lettura di toccanti brani di Primo Levi o di Liana Millù, corre a volte il rischio di caratterizzarsi per la scarsa incisività e per il concetto più superficiale e banale di memoria: quella collettiva, che di fatto sottrae spazio alla coscienza individuale e si esaurisce allo scemare dell’effetto emozionale. Un’attività formativa, per essere tale, necessita di adeguata preparazione, di corretta informazione e di costante quanto puntuale attenzione. Essa deve opporsi ai canoni della diffusa apatia che non concede spazi alle riflessioni, alle responsabilità e alle coscienze individuali, contribuendo alla progressiva china della massificata delega di espressione, di pensiero e di scelte, che dovrebbero invece essere restituite ad ognuno, per caratterizzare la vera democrazia.

La deludente incisività conseguita nel corso degli anni suggerisce la domanda se abbia ancora un senso il “Giorno della Memoria”: la mia risposta è un convinto sì, ma orientato alla sensibilizzazione dei ‘veri’ soggetti da educare.

Proprio di queste settimane è la presentazione dell’ultimo rapporto CDEC (Centro di documentazione ebraica contemporanea) sull’antisemitismo in Italia, che conclude:

 “[...] emerge un divario tra il discorso pubblico sull’antisemitismo in termini di educazione, formazione, organizzazione di convegni, eventi, iniziative e il persistere di pregiudizi e antisemitismo.

Come a suggerire che forse parte di quello che da anni viene fatto in termini di educazione e di comunicazione non raggiunge pienamente gli obiettivi”.

Adolf Eichmann, il programmatore dei convogli della morte, il pianificatore dello sterminio d’Ungheria e comandante del lager di Auschwitz, nel processo a suo carico celebrato nel 1961 nel Tribunale di Gerusalemme con l’accusa di genocidio così affermò: “[…] è stato così orrendamente spaventoso da rendere tutto incredibile; […] difficile già oggi diffondere questa verità come credibile; […] tra due generazioni nessuno crederà e ne parlerà più”; Primo Levi scrisse: “Racconteremo, ma non ci crederanno”.

Non vi è alcun dubbio che la Scuola abbia recepito il senso educativo che ha ispirato l’istituzione del Giorno della Memoria, ma è altrettanto vero che gran parte del gravoso impegno degli insegnati viene indebolito, se non risucchiato, dall’impatto con il diffuso contesto culturale depresso, ma assai ricco di modelli degradanti, che si identifica negli atteggiamenti passivi, certo più comodi ma assai meno civili.

Il difficile compito educativo richiede oggi coraggio nell’offrire alle nuove generazioni ogni opportunità di approfondimento propedeutica al recupero del fondamentale concetto che determina un popolo tanto più democratico quanto più le sue leggi, e la loro applicazione, rispettano e tutelano le componenti minoritarie.

Tutti noi abbiamo compreso la necessità di conservare e tramandare la Memoria. Per il mio popolo, in particolare, si tratta di assumere il biblico impegno morale “ledor – vador”, “da generazione a generazione”.

Ritenendo insufficiente il solo ricordare, ho tentato di comprendere le origini di tanto odio, ma invano. Ho però assimilato appieno il concetto che le soppressioni dei Diritti Umani prima e delle Vite poi non furono esclusiva del popolo di Israele (la Shoàh - Triangoli Gialli), ma colpirono anche le popolazioni Sinte – Rom (il Porrajmos - Triangoli Marroni), i Testimoni di Geova (Triangoli Viola) e gli Omosessuali (Triangoli Rosa), altrettanto ritenute “vite non degne di essere vissute”: l’inscindibilità dei corpi aggrovigliati nelle fosse comuni, e tanto più delle ceneri dei crematori, ne sono testimonianza incontrovertibile.

Oltre 13 milioni di vite che in questo giorno, idealmente unite, rivolgono all’umanità un monito contro ogni atto discriminatorio sollecitando il reciproco rispetto e la pacifica convivenza.

Spesso si parla, soprattutto in termini negativi, della “separatezza” delle minoranze, della loro tendenza a tenersi in disparte, a distinguersi da ciò che le circonda, ma nella realtà hanno sempre accettato la presenza degli Altri, senza tuttavia aspirare a rendere tutti uguali sotto un’unica bandiera, o stabilire un’uniformità tanto nella fede e nella cultura quanto nel pensiero umano.

Le minoranze concepiscono un mondo composto di culture diverse che, se spiegate e conosciute, sono motivo di reciproco arricchimento in un equilibrio che va mantenuto così com’è. Per questo a Mantova è stato fondato tre anni fa “Articolo 3, Osservatorio sulle discriminazioni”. Il progetto dell’Osservatorio  – presidio nato al Tavolo permanente per le celebrazioni della Giornata della Memoria, voluto dalle associazioni mantovane che rappresentano proprio le minoranze colpite dai tragici eventi che ricordiamo oggi – parte dall’affermazione del principio contenuto nel corrispondente articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana, principio che segna la fine di una storia millenaria di ingiustizie e l’inizio del cammino verso una nuova storia, quella delle libertà individuali nel rispetto dei diritti di ciascuno a pari dignità sociale e a pari opportunità.

Quando il sole tramonta sul 27 gennaio tutti noi ci sentiamo rassicurati perché i folli sono stati sconfitti e noi – noi i buoni e sani – siamo fondamentalmente differenti, siamo migliori. Sembra paradossale, ma la Giornata della Memoria sta in parte provocando una orribile semplificazione storica grazie alla quale pare emergere che i nazisti tedeschi furono gli unici responsabili dell'orrore. Il resto va assolto con la fine della giornata di commemorazione. Diventa così stupefacente constatare come in nome della Memoria istituzionalizzata ci si dimentichi che senza il resto degli europei i nazisti non avrebbero potuto realizzare il loro progetto di sterminio. Ci furono delatori, spie, collaboratori che in ogni nazione occupata o alleata denunciarono vicini di casa, ex amici, conoscenti. Ci furono organi di polizia che collaborarono nelle retate degli ebrei in ogni nazione, Italia compresa. Ma da queste responsabilità si parla molto poco o non se ne parla affatto: meglio che la Memoria tramandi la solita figura del nazista spietato. Un segnale di questa cancellazione è l'amore per i "Giusti". Anche qui negli ultimi anni si è assistita ad una specie di corsa alla ricerca di chi, mettendo in pericolo la propria vita, salvò le vittime dal loro destino. A metà del 2009 i Giusti tra le Nazioni riconosciuti dallo Yad Vashem erano 22.765 di cui 468 italiani. Questo sparuto numero di persone ha il grande merito psicologico di aver salvato delle vittime allora e di salvare noi dalla cattiva coscienza. Forse proprio il fatto che siano in Italia soltanto 468 ci dovrebbe spingere a pensare a quanti ‘ingiusti’ ci furono e quanti ‘armadi della vergogna’; idealmente esistono per contenere i nomi di tutti coloro che nella migliore delle ipotesi non fecero nulla e nella peggiore si attivarono per compiere il male.

Infine, la Giornata della Memoria in questi dieci anni di attività ha generato e rinforzato lo slogan, ripetuto come un mantra, che si usa alla fine di ogni manifestazione: "Mai più".

Se ci ustionassimo una mano sul fuoco faremmo bene a dire "mai più" e faremmo bene a non riavvicinare troppo la mano ad un altro fuoco. Faremmo bene ad avere coscienza di cosa è il fuoco.

"Mai più" significa agire in coerenza con la consapevolezza maturata. E se una consapevolezza fosse stata prodotta, oggi la testimonianza più vera sarebbe la visita ad un campo di Rom nella nostra città o in qualche area dove lavoratori migranti vivono ammassati come bestie in attesa di raccogliere i pomodori, in qualche casa fatiscente dove italiani meno fortunati muoiono per crolli inevitabili, in qualche mensa che si sforza di alleviare la povertà, in qualche centro diurno per disabili costretto da fondi sempre più scarsi a lavorare sempre meno.

L’attenzione alle espressioni di pregiudizi, discriminazioni, emarginazioni, intolleranza e demonizzazione del diverso ed agli atti di antisemitismo non può essere delegata ai soli soggetti colpiti, ma dall’intero contesto sociale e civile, che non può esimersi da tale impegno senza risultarne colpevolmente complice.

 

Desidero sollecitare voi tutte e tutti a chiederci se le vittime che oggi celebriamo con la Giornata della Memoria sono lì dove altre vittime continuano ad essere: nella sfera della nostra retorica.

 

 

Un cordiale Shalom,

Fabio Norsa

Presidente della Comunità ebraica di Mantova

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